Limbo Neutrale è una band alternative metal. “Limbo Neutrale” è anche il titolo di un romanzo scritto dal chitarrista Marco Germani, ma il libro è il punto di partenza di un progetto multimediale molto vasto che comprende letteratura, musica e arti visive. L’album dal titolo omonimo è il primo lavoro da solista del chitarrista e rappresenta l’ideale colonna sonora del romanzo, in cui ogni brano corrisponde a un capitolo del libro. N.D.E. è il secondo album solista di Marco Germani. Il titolo è l’acronimo per “Near Death Experience”, che significa “esperienza di pre-morte”, un’espressione che nel concept-album assume diverse sfaccettature metaforiche. È concettualmente legato al mondo di “Limbo Neutrale”.
- Come nasce la band Limbo Neutrale ?
Marco «Nasce come interpretazione nel mondo “reale” della band descritta nel mio romanzo “Limbo Neutrale”, a breve uscirà il seguito nel quale un gruppo di giovani leve porteranno in giro per un mondo devastato le canzoni di Mr. Germani, dato per disperso, con l’intento di dare all’umanità qualcosa per potersi ritrovare. Si tratta di una metafora del lavoro che ho intenzione di svolgere con questo progetto. Potete trovare news e romanzo in download sul sito http://www.limboneutrale.it».
Sofia «Marco Germani aveva già cercato di creare la band Limbo Neutrale per poter suonare dal vivo i suoi inediti, ma a tempi ci furono numerosi problemi, soprattutto riguardanti la struttura della band ed i suoi elementi. Pertanto rinunciò finché l’anno scorso Marco non tirò nuovamente fuori dal cilindro questo progetto. Questa volta si rivolse a musicisti più giovani, anche per l’esigenza di un punto di vista più avvezzo ai nuovi gusti e ai nuovi mezzi di comunicazione e di fruizione multimediale. O semplicemente aveva bisogno di un bassista che non conosce il concetto di minimalismo, un batterista delicato quanto Bruce Banner e una cantante e polistrumentista bipolare, perennemente incazzata col mondo e con uno stile di canto che può tranquillamente introdurre il Ragnarock facendo da colonna sonora al Fimbulvetr».
- Un progetto dal titolo “Abreaction”, un termine della psicanalisi. Qual è il messaggio che volete trasmettere?
Marco «ho commissionato a Sofia la tematica del brano pensando all’ipnosi regressiva e ai traumi che la nostra mente può celare, il risultato mi è piaciuto molto e lo può spiegare meglio lei».
Sofia «L’abreazione è una forma comportamentale causata da traumi, quindi da vecchi ricordi che riaffiorano in qualche modo, o per mano del nostro cervello che per natura apprende paragonando ciò che abbiamo intorno con le nostre esperienze, o tramite ipnosi. Il singolo individuo è in uno stato confusionario e di dolore e follia causato dalla sua stessa mente, e da nessun altro. Fuggire vuol dire dimenticare se stessi, ed è inutile poiché in un modo o nell’altro si ritorna sempre indietro; accettare ed osservare vuol dire rischiare di perdere se stessi e soffocare nel tentativo di salvarsi. È una trappola mentale in una guerra mentale, che sotto certi aspetti sa essere peggio di una guerra armata… o almeno io la penso così…».
- Nel videoclip di “Abreaction”, i membri della band suonano e sono incatenati. A cosa vi siete ispirati?
Marco «mi piaceva l’idea di suonare incatenati come se la musica ti “imprigionasse” e tu non potessi sfuggire, essendo la cantante “la solista” ho voluto lasciarla libera, come la melodia deve essere, io ci vedo molto anche il senso della determinazione femminile che supera quella maschile, un piccolo omaggio alle donne forti».
Sofia «In realtà non penso ci sia stata una fonte d’ispirazione precisa. L’idea era di realizzare un video che potesse essere ricondotto ad un live, ma dai tratti grotteschi e dallo stile registico e scenografico riconducibile ad un videoclip hard rock anni ’80. Un riferimento si potrebbe trovare nello stile dei videoclip di Alice Cooper o di “Warriors Of The World” dei Manowar. Le catene possono simboleggiare lo stato di coloro che subiscono gli effetti dell’abreazione. È come una prigione per i ricordi, che non riescono ad uscire perché bloccati dall’uomo che non li vuole ricordare, ma che riaffiorano in un modo o nell’altro, anche se per pochi secondi, o una prigione per l’uomo stesso, che non si sentirà mai libero perché le sue esperienze sono le catene, ma è lui ad avere la chiave e non è in grado di usarla».
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